Curiosità, tecnica, studio antropologico: sono queste le componenti predominanti di uno gesto fotografico, se parliamo di uno scatto di Nino Bartuccio. La differenza fondamentale tra vedere, guardare e immortalare viene fuori in tutto il suo dinamismo tra le pagine di un lavoro che affonda le sue radici nei caratteri distintivi di un ‘genius loci’ tutto siciliano.
Sguardi, espressioni rubate, segni dell’anima che sembrano provenire da un tempo altro, riemergono da un passato ormai dimenticato. Sono i tratti somatici di una tradizione che diventa folklore, le istantanee pennellate artistiche che ritraggono volti, sentimenti, processioni, passaggi e paesaggi.
Scorci che sembrano prender vita e risplendere di luce propria. Non ‘composizioni’ ma veri e propri ‘componimenti’. Vivi, vibranti, senza soluzione di continuità.
Ricerca estenuante, incontri casuali e, al centro di tutto, l’uomo, protagonista assoluto, come nei progetti ‘Brasile’ e ‘Neverland’.
Ritratti intensi, spontanei, magnetici, a tratti inquietanti, ma ancora pieni di vita;
quella vita che è la chiave di tutto con il superamento del limite spazio-tempo; la foto elevata da contenitore di istanti che non esistono più ad opera d’arte; svincolata da ogni dimensione.
E se nel buio risiede il senso della luce, quello dei colori viene fuori dalla loro assenza. Gli scatti in bianco e nero di Bartuccio disegnano uno spazio non più fisico ma emozionale: intercettano le tinte nascoste dell’anima, trafitte da raggi senza tempo.
Immagini uniche, riconoscibili e apprezzate in tutto il mondo; orme profonde nel vasto panorama della fotografia internazionale.